Il Piccolo Principe non si è fermato tra le pagine del libro di Saint-Exupéry ed è arrivato nelle sale cinematografiche diretto dal regista Mark Osborne. Come nel libro, anche il film di animazione ha una chiave di lettura che lascia un po’ di amaro in bocca agli adulti, consapevoli di aver perso una parte di sé nel percorso della crescita.
La storia inizia con una bambina che deve affrontare l’esame di ammissione per frequentare una scuola molto prestigiosa. La madre, donna organizzata e concreta, ha preparato la figlia a rispondere a ogni possibile domanda, compresa l’ultima, quella definitiva per riuscire a entrare nella scuola. Alla fine del colloquio, però, la domanda risulta essere diversa e la bambina, indottrinata a tal punto da non saper ragionare sulle risposte, recita ciò che aveva imparato senza rendersi conto di rispondere a un quesito non posto. Rifiutata dalla commissione, la madre non si dà per vinta e decide di andare a vivere in un quartiere vicino all’ambita meta, così da essere ammessa di diritto per residenza.
Quello che inizia a catturare l’attenzione arrivati a questo punto della pellicola è la volontà di far trasparire la standardizzazione dell’ordinario: le auto, tutte uguali, circolano in senso orario seguendo sempre gli stessi percorsi. I vestiti delle persone sono grigi e perfettamente stirati. Le case hanno tutte la stessa architettura: squadrata e bassa; eccetto una, quella del futuro vicino. L’abitazione del vecchietto è alta ed eccentrica, con uno strano trabiccolo che serve per salire in un punto di osservazione da dove l’uomo ammira le stelle. Da queste poche immagini si può già comprendere che quello che emerge è il divario estetico tra la monotonia di una vita omologata a quella di tutti gli altri e la bizzarria affascinante di chi uscendo dall’ordinario viene etichettato come folle. Le due scoprono in seguito che il vecchio è un ex pilota strampalato che tenta invano di rimettere in moto il suo aeroplano nel suo stesso giardino.
L’estate della bambina non prosegue come nei piani ideati dalla madre. No. Invece di suddividere meticolosamente il suo tempo tra studio, merenda e ginnastica, la piccola si avvicina al vecchio ex pilota. Inizialmente per caso; poi, seguendo la curiosità propria dei bambini, decide di ascoltare cosa ha da raccontare quell’uomo evitato da tutto il vicinato e impara un nuovo modo di affrontare la vita. L’uomo diventa pian piano suo amico e racconta un’avventura alla piccola: quella del Piccolo Principe.
Le storie che vengono lette sono molto fedeli al libro di Saint-Exupéry: il Principe parte lasciando da sola la sua rosa capricciosa e durante il viaggio per i vari pianeti incontra molti adulti che sono in realtà archetipi dell’alienazione della vita quotidiana. Il Sovrano che regna in un pianeta dove è il solo abitante, rappresenta l’illusione del potere e del comando. Il vanitoso che vuole essere ammirato senza aver compiuto gesta eroiche, è la personificazione di molti individui plauditi immeritatamente che pensano solo all’autocompiacimento. L’uomo d’affari che conta le stelle nella falsa illusione di possederle, altri non è che l’uomo divorato dall’avidità, il quale, per ingordigia, ambisce a tenerle per sé, senza rendersi conto che la ricchezza non porta automaticamente felicità.
Il film è fedele al messaggio che vuole inviare il libro e anzi, lo arricchisce ulteriormente tramite la storia della bambina, la quale, rapita dai racconti del suo nuovo amico, viene addomesticata come succede alla volpe con il Piccolo Principe. Tuttavia, quando scopre il finale della storia, è delusa e non riesce ad accettare la mancanza del lieto fine. È a questo punto del film che la piccola prende coscienza dell’importanza di ciò che non è considerato essenziale e libera la fantasia, depurandosi dalla vita organizzata e monotona cui sembrava essere destinata e creando un finale diverso per l’avventura che gli ha raccontato il vecchio.
Nella nuova storia, lei parte a bordo dell’aeroplano e atterra su un pianeta grigio (molto simile alle cupole di vetro contenenti le città in miniatura che le regala ogni anno il padre assente). Il pianeta è cupo e abitato da soli adulti, anch’essi vestiti di grigio. Le persone davanti al computer lavorano meccanicamente e con rassegnazione, senza il minimo coinvolgimento. Le occhiaie disegnate sul volto degli uomini indicano l’angoscia e lo sfinimento del vivere ogni giorno come se fosse il medesimo giorno, senza luce, senza sfumature. Questi strani abitanti sono intrappolati in una routine senza fine perché hanno basato la propria vita sull’essenziale e il necessario, perdendo la fantasia che colora il tempo e la vita.
Nel pianeta, la bambina trova il Piccolo Principe. Anch’esso cresciuto e senza memoria del suo passato, è intento a lavorare come spazzacamino; ennesimo compito che non riesce a svolgere bene dopo aver perso centinaia di altri impieghi. Il personaggio, nonostante tenti di amalgamarsi alla vita degli adulti, risulta essere fuori posto e la sua incapacità di inserirsi nell’ingranaggio della “macchina dell’alienazione” è evidenziata dal suo abbigliamento: è infatti l’unico a indossare un abito verde e non grigio. Per uniformarsi alla massa, inizialmente tenta di consegnare la bambina a chi ha il compito di farla diventare adulta (poiché lì è vietato essere piccoli). Solo dopo aver visto i disegni del pilota che la piccola ha portato con sé, inizia a ricordare e decide di aiutarla e di fuggire con lei a bordo dell’aeroplano, dopo aver liberato le stelle tenute prigioniere dall’uomo d’affari. Gli abitanti a quel punto alzano la testa, interrompendo il processo di alienazione e, rapiti dal brillio, ritrovano la luce che avevano perduto.
Il Piccolo Principe torna nel suo pianeta e lo trova infestato dai Baobab. Lì, ad attenderlo, c’è ancora la rosa, ormai sfiorita perché abbandonata in mezzo alle piante infestanti. Accarezzando i petali della sua amata, però, succede qualcosa: il Piccolo Principe si libera dai preconcetti imposti dal mondo grigio che lo ha soffocato per anni e comprende quanto sia essenziale ciò che non viene reputato essenziale. Questa presa di coscienza lo fa tornare bambino e il pianeta recupera il suo antico splendore.
La piccola, felice per il lieto fine che sperava di dare alla storia, torna sulla Terra per dare la buona notizia al suo vecchio amico, il quale, abbracciandola, la rassicura che un giorno diventerà una splendida adulta, perché si può crescere senza mai perdere la fantasia che rende magica la vita. Il lieto fine c’è anche per la relazione della bimba con la mamma, la quale, capendo che non si può programmare tutto, si abbandona alla contemplazione delle stelle insieme a sua figlia, indossando per la prima volta vestiti colorati, e non quelli grigi di tutti i giorni.
La fine della pellicola lascia lo spettatore con un’ultima scena: la bambina che spiega ai compagni di classe il disegno di un elefante intrappolato all’interno di un boa; perché diventando adulti si rischia di farsi prendere dalle cose considerate essenziali, finendo col vedere solo un cappello là dove invece c’è molto di più…
Silvia Civano