
Buongiorno a tutti! Oggi vi parlo del manga “Il giocattolo dei bambini” (Kodomo no omocha), realizzato dalla mangaka Miho Obana. Quando ero ragazzina guardavo l’anime “Rossana”. Avevo una cotta per Heric. Ragazzo introverso, un po’ scontroso e con un passato difficile. L’esatto opposto di Sana, allegra e chiacchierona. Obana tratta temi più profondi di quanto possa sembrare. Heric, nel manga Akito Hayama, ha una storia molto triste alle spalle. Sua mamma muore quando lo partorisce e lui cresce in una famiglia che lo ignora. La sorella e il padre non gli rivolgono la parola, non lo salutano nemmeno, poiché lo ritengono responsabile della morte della madre. Molti dialoghi sono stati censurati nell’anime. Uno in particolare aveva richiamato la mia attenzione, perché l’immagine non corrispondeva alle parole. Solo dopo aver letto il manga ho capito perché Sana avesse un coltello in mano. Durante una discussione, Sana chiede ad Akito come può aiutarlo, e lui le risponde che il solo modo è quello di ucciderlo. Questa scena mi ha colpito profondamente. Un bambino di circa dodici anni che, parlando con una sua coetanea, dice che il solo modo per alleviare la sua sofferenza è quello di togliergli la vita è un qualcosa di intenso e profondamente violento al tempo stesso. Molto più violento di immagini con sangue e combattimenti. Perché viene urtata la sfera emotiva. Akito è vittima di abusi psicologici e i suoi comportamenti da teppista derivano da una condizione familiare difficile. Viene chiamato “figlio del diavolo” dalla sorella (nell’anime diventa “diavoletto”).

Anche la vera storia della mamma di Sana è toccante. La donna abbandona Sana poiché la partorisce quando lei stessa era una bambina, vittima di abusi sessuali da parte di suo zio. “Il giocattolo dei bambini” è un manga considerato leggero, perché leggeri sono i toni usati per descrivere le situazioni. Ma se ci si ferma a riflettere, si capisce che la leggerezza non ha nulla a che fare con la frivolezza. L’autrice, al lato delle tavole, inserisce strisce di approfondimento in cui si rivolge direttamente al lettore. Si instaura così una sorta di legame con la mangaka, anche perché spesso racconta aneddoti personali.
