
Buongiorno! Oggi vi parlo di un libro di Banana Yoshimoto intitolato Le strane storie di Fukiage, edito Feltrinelli.
È il primo libro che leggo della Yoshimoto e, anche se ho trovato alcuni passaggi pregevoli, devo ammettere che la storia non mi ha convinta del tutto, né, ahimè, coinvolta.
A rapirmi è stata la copertina, illustrata da Elisa Menini, e poi la trama, che prometteva un’avventura che però non ho vissuto leggendo.
Dalla quarta di copertina:
Mimi e Kodachi sono due sorelle gemelle cresciute nella cittadina di Fukiage. Allevate da una coppia di amici dei genitori perché in un incidente stradale il padre è rimasto ucciso e la madre giace tuttora in coma, compiuti i diciotto anni decidono di trasferirsi a Tōkyō, dove vivono una vita tranquilla, ciascuna intenta a inseguire le proprie inclinazioni. All’improvviso, però, Kodachi svanisce nel nulla. Mimi va a cercarla e torna a Fukiage, dove incontra personaggi misteriosi e scopre verità e leggende bizzarre sulla propria famiglia e su se stessa. Dove è finita Kodachi? Ritornerà? Si risveglierà la loro mamma?
Il punto di vista narrativo è quello di Mimi, che torna a Fukiage per cercare la sorella scomparsa. La storia ha degli elementi fantasy senza esserlo davvero, ed è allo stesso tempo introspettiva senza però essere abbastanza profonda. La protagonista fa a tratti ragionamenti troppo infantili per una diciottenne, mentre in altri momenti i suoi pensieri portano a riflettere.
Qui sotto copio due frasi che mi hanno colpito particolarmente. Se l’intero testo fosse stato al livello delle citazioni che ho selezionato lo avrei apprezzato molto. Purtroppo, così non è stato. Non so se leggerò altri libri della Yoshimoto, ma questo senza dubbio lo esporrò nella libreria per la copertina stupenda che lo veste.
“Amare con la paura di perdersi non va bene”.
“A lungo andare sarei morta dentro, e quando si è morti dentro prima o poi si comincia a marcire. Tutto ciò che avrei finto di non vedere si sarebbe accumulato come foglie imputridite mescolate al terriccio”.
Alla prossima recensione,
Silvia Civano